Trascrizione della visita guidata a cura dell’Ing. Aldo Di Bernardo
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Venzone
Venzone è stata da poco nominata monumento nazionale, e il fatto di esserlo è stato uno dei punti di forza per iniziare a parlare di restauro, perché dopo l'attacco distruttivo del terremoto alcune persone volevano radere al suolo la città e costruirne una completamente nuova; ma non fu questo il suo destino, appunto grazie a tutto il patrimonio storico e culturale che possiede.
Iniziamo il nostro viaggio…
Il museo del terremoto
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È chiamato "Museo Tiere Motus, storia di un terremoto e della sua gente", infatti al suo interno possiamo osservare l'esperienza degli abitanti dei paesi terremotati a 360°, la loro reazione dopo la distruzione delle loro case, ma soprattutto quello che successe e i provvedimenti che furono presi in seguito. Il mosaico, simbolo del museo, rappresenta tante piccole esperienze che sono state sconvolte e pian piano questo mosaico si sta ricomponendo.
Il mosaico, simbolo del museo
La visita all'interno del museo è costituita da una raccolta di esperienze che accompagnano il visitatore dalla sera del 6 maggio fino agli aspetti positivi che il terremoto ha portato, nel senso che ha fatto nascere una Regione che prima non c'era.
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Il 6 maggio ci fu una prima scossa di 4,5 gradi Richter, alle 20:59, che fece fermare il meccanismo dell'orologio del campanile, fece uscire la gente dalle case e per questo fu un vero e proprio “salvavita" in quanto preannunciò la scossa distruttiva, quella delle 21:06 di 6,4 gradi Richter, che durò 58 secondi.
L’epicentro di tutti i terremoti avvenuti in Friuli è la catena dei Monti Musi. Quasi ogni mese ci sono delle piccole scosse e ogni 200 anni circa c’è un terremoto come quello del 1976.
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Per quanto riguarda i morti parliamo di 989 persone (977 a maggio, 12 a settembre), anche se sono molte le persone non identificate, quindi questo è solo un numero indicativo; inoltre abbiamo anche i morti nella ex Jugoslavia, che sono stati circa 200. Questa calamità ha colpito 2/3 della nostra regione e ha coinvolto 137 comuni (anche se in realtà erano 162: 25 comuni si sono tolti dalla lista per non dover applicare la legge sismica approvata dopo il disastro).
La legge sismica in Italia entrò in vigore nel 1974 e lasciava ai Comuni la facoltà di dichiararsi o meno coinvolti nel terremoto.
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Il vero insegnamento del terremoto del 1976 è quello di non farsi “fregare" la prossima volta, aver imparato la lezione, quindi costruire edifici antisismici, arredare le case correttamente e prendere tutti i provvedimenti necessari; inoltre ha fatto capire ai Friulani l'enorme patrimonio che possiedono, infatti solo nel 1977 nasce il Centro di Catalogazione e Restauro di Villa Manin.
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Il museo è costituito da una serie di stanze che ci raccontano quello che successe nelle ore e nei giorni successivi al terremoto attraverso fotografie, schemi e documenti.
Nella prima sala ci sono delle fotografie che rappresentano il Duomo della città prima e dopo il terremoto del 6 maggio e dopo quello del 15 settembre. La fortuna che ha avuto Venzone è che il crollo maggiore è avvenuto a settembre, quando ormai tutte le case erano disabitate. Per quanto riguarda il Duomo dobbiamo capire i meccanismi del crollo e dell'effetto. Le superfici elevate hanno avuto la tendenza di cadere in avanti, mentre le volte e le superfici orizzontali sono collassate su se stesse.
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Il rumore del terremoto è stato caratterizzato da una frequenza lenta (18/20 Hz) e quindi impercettibile all'orecchio umano; poi ci sono ovviamente rumori che il terremoto causa (come la rottura dei servizi da tè, il frantumarsi delle tegole, oppure il crollo di interi edifici); questi ovviamente dipendono da diversi fattori, come ad esempio il piano a cui uno abita o la composizione del terreno, la distanza dall'epicentro e quella dall'incentro.
Nelle prime ore dopo il terremoto ci fu un attimo di crisi in tutta Italia, perché nessuno sapeva dove fosse esattamente il Friuli, quindi i primi interventi arrivarono piuttosto tardi a causa di questo problema; inoltre le comunicazioni erano saltate, anche quelle militari e non c’era modo di mettersi in contatto con i centri colpiti; la fortuna fu che ogni paese aveva una caserma, quindi un corpo militare pronto a reagire e questo fu di grande aiuto. Ancora più importante fu il fatto che non serviva una divisa per prestare soccorso: infatti gli abitanti delle città cadute furono i primi che iniziarono a scavare tra le macerie per cercare i vivi sommersi.
Le prime immagini esposte risalgono a 21 ore dopo il crollo e vi è rappresentato un bambino, Pietro, che veniva estratto vivo dalle macerie. Suo padre era fuori casa, la madre e le sorelle vennero salvate quasi subito dopo il crollo di casa loro, ma il bambino non si trovava, insieme alla sua sorellina più piccola, che purtroppo morì sotto le macerie. Lui dopo 21 ore venne estratto vivo e se la cavò con poco (un occhio pesto, qualche sbucciatura).
Queste immagini vogliono sottolineare il fatto che negli anni successivi fino ai giorni nostri furono queste le conseguenze fisiche della gente, ma ci furono anche l’aumento dei morti di Alzheimer, diabete, malattie dello stress o anche per suicidio addirittura di 6 volte in più rispetto alla media nazionale. Per le nostre terre è stato un duro colpo.
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In un’altra stanza possiamo osservare dei pannelli con rappresentate delle montagne di macerie: i condomini di Majano andati in frantumi erano stati i primi esperimenti col cemento armato; ovviamente nessuno aveva badato a costruire una struttura antisismica e quello che rimase di quell’azzardo a cinque piani fu solo un mucchio di macerie.
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Nella stanza successiva ci sono alcune immagini che rappresentano i funerali collettivi avvenuti la domenica dopo il terremoto: centinaia di bare coperte da una bandiera italiana.
Dobbiamo innanzitutto capire in che periodo storico siamo, ovvero in piena guerra fredda; alcuni storici avevano ipotizzato che l’eventuale invasione da parte dei Paesi del Patto di Varsavia sarebbe potuta transitare sul confine orientale dell’Italia. Sempre a parere di alcuni storici per evitare ciò fu enormemente rafforzata la presenza militare in Friuli, fu costruita la base americana di Aviano e venne potenziata quella aeronautica di Rivolto. In tale contesto si inseriva anche l’occasione per Tito (allora dittatore dell’ex Jugoslavia), il quale, pur non essendo formalmente schierato, patteggiava per il blocco orientale e avrebbe potuto raggiungere ciò che era suo obbiettivo al termine della Seconda Guerra Mondiale (l’occupazione di Trieste, Monfalcone e Gorizia).
Nel periodo degli eventi disastrosi del terremoto il governo di Aldo Moro aveva ricevuto la sfiducia del Parlamento, e in attesa della formazione del nuovo governo il Parlamento decise di nominare un commissario straordinario (Giuseppe Zamberletti), dandogli poteri straordinari affinché procedesse ai primi interventi emergenziali e poi successivamente per avviare la vera e propria ricostruzione. In attesa della formazione di un nuovo governo fu anche deciso di inviare nei Paesi distrutti, oltre al gran numero di vigili del fuoco, anche contingenti militari tenuto conto che allora il Friuli ospitava circa la metà dell’esercito di leva italiano per i motivi di cui si è parlato sopra. In una prima fase il commissario Zamberletti in pieno accordo con il Presidente della Regione (Antonio Comelli) e con le altre autorità civili del posto decise di dare priorità a riavviare le aziende affinché si potessero garantire alle persone del luogo lavoro e reddito. Successivamente fu data delega ai Sindaci dei vari Comuni interessati dal terremoto di gestire direttamente il flusso di denaro destinato alla ricostruzione. La stessa poi continuò per riedificare tutte le chiese e i monumenti della zona.
I poteri speciali attribuiti al commissario Zamberletti abbatterono le barriere burocratiche in quanto lo Stato collaborò direttamente con la Regione e quest’ultima con i Sindaci interessati, ai quali, come già detto in precedenza, venne attribuita la gestione diretta della fase emergenziale e la successiva ricostruzione. Inoltre gli stessi poterono disporre delle forze in campo (Vigili del Fuoco, Esercito, Forze dell’Ordine).
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Uno degli slogan del terremoto era fasin di besoi (tradotto dal friulano, "facciamo da soli") che era da parte dei Friulani un messaggio per dire: “vogliamo dare al resto dell’Italia meno disturbo possibile”, e non un atto di arroganza, perché essi si sentirono in colpa per il terremoto e quindi gli stessi terremotati, che avevano perso la casa e alcuni anche l’intera famiglia, iniziarono a ripulire i paesi dalle macerie, a cercare i morti sepolti e non aspettarono che qualcuno lo facesse per loro.
Un’altra cosa fondamentale fu che la scossa del 6 maggio permise alle opere d’arte all’interno delle chiese e ai monumenti di essere salvati prima della scossa dell’11 settembre, altrimenti avremmo perso i 2/3 del patrimonio artistico in Friuli.
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Per quanto riguarda il numero delle persone intervenute nei giorni successivi al sisma c’è da dire che pur avendo qualche centinaio di migliaia di militari a disposizione il Ministero decise di utilizzare solo quelli di carriera e non quelli di leva. Intervennero altresì anche forze militari straniere come i Tedeschi che per la prima volta dopo la Seconda Guerra Mondiale furono utilizzati oltre i confini germanici, militari dell’allora Repubblica Jugoslava, militari francesi, militari americani e militari canadesi che in quel periodo stavano effettuando un’esercitazione in centro Europa, i quali portarono ospedali da campo già pronti all’utilizzo. Successivamente anche gli Americani fornirono numerose strutture sanitarie.
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Dopo il terremoto del 6 maggio i Friulani si misero subito a lavoro per ricostruire le loro case, rifiutarono addirittura le baracche (in quanto i danni non erano eccessivi e inoltre si era alle porte dell’estate) e contarono sul fatto che entro l’inverno avrebbero ricostruito tutte le case e avrebbero potuto tornarci ad abitare; ma il 15 settembre arrivò un’altra scossa distruttiva e tutte le abitazioni tornano a crollare.
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In una sala del museo ci sono dei pannelli con delle fotografie in cui vengono celebrati un matrimonio ed una prima comunione all’interno di una tenda: in mancanza di chiese, dopo il terremoto dell’11 settembre i Friulani, tenaci, non seppero rinunciare alle tradizioni e alla celebrazione dei sacramenti.
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Un altro fattore che ha caratterizzato i Friulani è che se c’era qualcosa che non andava non aspettavano, prendevano provvedimenti, iniziavano a manifestare, a protestare. Qualcuno, oltre a contestare le scelte dell’Amministrazione, si era già reso conto che la prima delle tre leggi per la ricostruzione, uscita nel giugno del 1976, non andava bene, in quanto non includeva la ricostruzione di edifici antisismici. Quando dopo pochi mesi arrivò la scossa distruttiva si confermarono i dubbi su questa legge.
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La storia dei terremoti in Friuli è sempre stata caratterizzata da una prima e da una seconda fase, in quanto questa regione è situata tra la placca africana e quella dell’Eurasia e riceve pressione sia da una parte che dall’altra. Nel terremoto del 1976, durante la prima fase, ci furono 56 piccole scosse e poco dopo Zamberletti venne sollevato dal suo incarico; durante la seconda fase, invece, ripresero le scosse, sempre più violente e pericolose, fino a quella del 15 settembre.
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Dopo il crollo definitivo di tutte le abitazioni la gente capì che prima di rientrare a casa sarebbero passati anni e le agenzie turistiche si attivarono: nelle zone di Bibione, Lignano, Grado, oltre che nelle cittadine rimaste integre, vennero ospitati i terremotati.
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Siamo negli anni ’70; in Italia c’era il boom economico e la decisione migliore in questo caso sarebbe stata quella di ricostruire tutti gli edifici dalle fondamenta in una città chiamata per esempio Udine 2, che sarebbe dovuta nascere poco più a nord di Udine, ma nessuno era d’accordo in quanto ci si rendeva conto dell’importanza del patrimonio di Venzone; infatti già nel 1965 il Ministero dell’Istruzione aveva tutelato questa città con una legge.
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Dopo questo fenomeno distruttivo le persone iniziarono a riunirsi in assemblee, organizzarono sagre, feste di paese, perché avevano bisogno di solidarietà, di stare insieme.
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Nel giugno del 1977 l’Università di Trieste iniziò a studiare la geologia dei territori friulani e creò una sorta di mappa per indicare il rischio idrogeologico della regione (frane, alluvioni, terremoti); in questo modo si iniziò a capire come le città siano state distrutte e questo aiutò nella ricostruzione dei nuovi edifici antisismici.
Dopo molti studi e molte simulazioni si riuscirono ad approvare le leggi utili per ricostruire.
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Venzone venne ricostruita senza alcuna modifica.
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Come detto prima, il Friuli scoprì il suo patrimonio grazie al terremoto: prima di tutto individuarono musei e chiese contenenti opere d’arte inestimabili. La fortuna fu che tutte le testimonianze artistiche vennero salvate dopo le scosse di maggio e non subirono grandi danni. Solo in questo modo la Regione si accorse che c’erano tantissime opere di cui nessuno conosceva l’esistenza. Subito dopo partirono tutti i veri e propri lavori.
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MACCHINA DELLA RICOSTRUZIONE
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Parlando di solidarietà, tutti si sono mossi per aiutare i Friulani dopo il terremoto, indipendentemente dalla politica e dalla religione. C’è stato un enorme lavoro da tutto quello che vuol dire ITALIA, dalle comunità italiane in giro per il mondo e anche dalle comunità friulane. Il comune di Roma, nel 1977, ha adottato il palazzo del Museo per costruire un qualcosa che testimoniasse un’esperienza del genere, e questo fu; il Pakistan riuscì a fornire 2000 tende per gli sfollati; la Turchia 1000 baracche; l’India, la Germania, la Cina, l’Unione Sovietica inviarono dei pacchi in Friuli.
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L’ambito unitario fu fondamentale per la ricostruzione delle città, ha reso tutto più omogeneo (nel senso che per costruire 20 abitazioni c’erano 1 elettricista, 1 architetto, 1 geometra, 30 operai, che lavoravano allo stesso modo, anche risparmiando denaro).
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Nel 1986 ci fu un sopralluogo del Presidente della Repubblica, che al tempo era Cossiga; il 73% dei lavori erano ultimati.
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Per quanto riguarda i costi possiamo dire che sono stati spesi 15 miliardi di Euro; bisogna però sapere una cosa, cioè che a quei tempi mancavano le strade, o perché erano state danneggiate dal terremoto o perché non esistevano proprio, in quanto avrebbero solo facilitato la viabilità al nemico, quindi parecchio denaro è stato speso in questo contesto.
Il 28% delle risorse venne usato per ricostruire strade, autostrade, edifici di culto, scuole, le strutture di grande utilità. Il 72% venne girato alla Regione che utilizzò il 44% di questo per preparare la ricostruzione e il 56% per farla.
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Nell’ultima sala ci sono gli aspetti positivi: la nascita della Protezione Civile (1986), la medaglia d’oro al merito civile simbolicamente data a tutti i Friulani (bandiera del gonfalone), la scritta cosiddetta fantasma (perché non si sa chi l’abbia fatta) e il lavoro delle diocesi, che diedero un grande aiuto.
Venzone, 10 maggio 2017